Salute e benessere

Un prelievo di sangue per diagnosticare precocemente l’Alzheimer: i risultati di uno studio americano

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13 Maggio 2022

Uno studio condotto dall'Università della California, a San Diego, ha evidenziato che livelli elevati della proteina PHGDH sarebbero presenti nei malati di Alzheimer anche prima che si manifestino i primi segni della malattia. Lo studio è importante perché potrebbe identificare, con un semplice esame del sangue, la presenza della malattia nelle fasi iniziali, aumentando così le possibilità di ritardare o addirittura alleviare i sintomi. L'Alzheimer non ha ancora una cura, ma è già noto che adottare uno stile di vita più sano, stando attenti al corpo e alla mente, potrebbe contribuire a ritardare i sintomi cognitivi della malattia.

Guidata dai professori Sheng Zhong, Xu Chen e Riccardo Clandrelli, la ricerca, pubblicata sulla rivista Cell Metabolism, ha analizzato tessuti cerebrali umani e ha riscontrato un marcato aumento nell'espressione del gene PHGDH negli individui con Alzheimer. Oltre ad indicare la possibilità di una diagnosi precoce della malattia, uno dei principali avvertimenti della ricerca è la necessità di cautela nell'uso eccessivo della serina, sostanza prodotta dal PHGDH, ed essenziale per il metabolismo cerebrale. Ricerche precedenti hanno stimolato la convinzione che gli integratori che contengono l'aminoacido potrebbero aiutare a combattere la malattia. L'attuale studio, tuttavia, ha rilevato che, piuttosto che insufficiente negli individui con Alzheimer, la produzione di serina sarebbe stata in realtà eccessiva, il che sarebbe direttamente collegato a un peggioramento della funzione cerebrale.

Uno studio precedente, condotto due anni fa dallo stesso gruppo di scienziati dell’Università della California, aveva già indicato che il PHGDH potrebbe essere un biomarcatore sicuro per l'Alzheimer. All'epoca, i ricercatori hanno analizzato campioni di sangue di anziani e hanno riscontrato un marcato aumento dell'espressione del gene PHGDH sia nei pazienti di Alzheimer che negli individui sani fino a due anni prima che fosse stata diagnosticata la malattia.
Nella stessa ricerca fu notato anche che i livelli di espressione di PHGDH sarebbero cresciuti di più nel corso della malattia, com’era già stato osservato in studi simili con topi. Con gli umani, gli scienziati hanno confrontato la quantità dell'enzima nel sangue di pazienti con diagnosi di Alzheimer con punteggi ottenuti in base a due diverse valutazioni cliniche: una che valuta la memoria e le capacità cognitive e l'altra, la gravità della malattia in base a cambiamenti nel cervello. I risultati hanno dimostrato che più bassi sarebbero i punteggi, maggiore sarebbe l'espressione di PHGDH nel cervello.

Dagli studi e dai risultati, si spera che alla fine si possa arrivare a un modo più semplice per diagnosticare l'Alzheimer, attraverso un esame del sangue, ad esempio. È già noto che i cambiamenti cerebrali causati dalla malattia possono verificarsi persino decenni prima della comparsa dei sintomi. Una diagnosi più semplice e precoce renderebbe più facile monitorare la malattia e consentirebbe agli scienziati di testare i trattamenti in fasi molto precedenti, quando potrebbero essere più efficaci.

Uno studio condotto dall'Università della California, a San Diego, ha evidenziato che livelli elevati della proteina PHGDH sarebbero presenti nei malati di Alzheimer anche prima che si manifestino i primi segni della malattia. Lo studio è importante perché potrebbe identificare, con un semplice esame del sangue, la presenza della malattia nelle fasi iniziali, aumentando così le possibilità di ritardare o addirittura alleviare i sintomi. L'Alzheimer non ha ancora una cura, ma è già noto che adottare uno stile di vita più sano, stando attenti al corpo e alla mente, potrebbe contribuire a ritardare i sintomi cognitivi della malattia.

Guidata dai professori Sheng Zhong, Xu Chen e Riccardo Clandrelli, la ricerca, pubblicata sulla rivista Cell Metabolism, ha analizzato tessuti cerebrali umani e ha riscontrato un marcato aumento nell'espressione del gene PHGDH negli individui con Alzheimer. Oltre ad indicare la possibilità di una diagnosi precoce della malattia, uno dei principali avvertimenti della ricerca è la necessità di cautela nell'uso eccessivo della serina, sostanza prodotta dal PHGDH, ed essenziale per il metabolismo cerebrale. Ricerche precedenti hanno stimolato la convinzione che gli integratori che contengono l'aminoacido potrebbero aiutare a combattere la malattia. L'attuale studio, tuttavia, ha rilevato che, piuttosto che insufficiente negli individui con Alzheimer, la produzione di serina sarebbe stata in realtà eccessiva, il che sarebbe direttamente collegato a un peggioramento della funzione cerebrale.

Uno studio precedente, condotto due anni fa dallo stesso gruppo di scienziati dell’Università della California, aveva già indicato che il PHGDH potrebbe essere un biomarcatore sicuro per l'Alzheimer. All'epoca, i ricercatori hanno analizzato campioni di sangue di anziani e hanno riscontrato un marcato aumento dell'espressione del gene PHGDH sia nei pazienti di Alzheimer che negli individui sani fino a due anni prima che fosse stata diagnosticata la malattia.
Nella stessa ricerca fu notato anche che i livelli di espressione di PHGDH sarebbero cresciuti di più nel corso della malattia, com’era già stato osservato in studi simili con topi. Con gli umani, gli scienziati hanno confrontato la quantità dell'enzima nel sangue di pazienti con diagnosi di Alzheimer con punteggi ottenuti in base a due diverse valutazioni cliniche: una che valuta la memoria e le capacità cognitive e l'altra, la gravità della malattia in base a cambiamenti nel cervello. I risultati hanno dimostrato che più bassi sarebbero i punteggi, maggiore sarebbe l'espressione di PHGDH nel cervello.

Dagli studi e dai risultati, si spera che alla fine si possa arrivare a un modo più semplice per diagnosticare l'Alzheimer, attraverso un esame del sangue, ad esempio. È già noto che i cambiamenti cerebrali causati dalla malattia possono verificarsi persino decenni prima della comparsa dei sintomi. Una diagnosi più semplice e precoce renderebbe più facile monitorare la malattia e consentirebbe agli scienziati di testare i trattamenti in fasi molto precedenti, quando potrebbero essere più efficaci.

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