Salute e benessere

Studio dimostra per la prima volta che un sonno disturbato aumenta rischio di Alzheimer

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12 Luglio 2024

Per la prima volta, una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica internazionale "Acta Neuropathologica Communications" ha dimostrato l'esistenza di un forte legame tra il sonno e la malattia di Alzheimer. Questa scoperta è stata ottenuta grazie alla collaborazione tra il Centro di Medicina del sonno dell'ospedale Molinette della Città della Salute di Torino, diretto dal professor Alessandro Cicolin, e il Neuroscience Institute of Cavalieri Ottolenghi (Nico), diretto dalla professoressa Michela Guglielmotto, entrambi affiliati al Dipartimento di Neuroscienze "Rita Levi Montalcini" dell'Università di Torino.

La ricerca ha esaminato l'effetto di un sonno disturbato su topi geneticamente predisposti alla deposizione di beta-amiloide. La frammentazione del sonno, ottenuta attraverso brevi risvegli senza modificare il tempo totale del sonno, ha compromesso il funzionamento del sistema glinfatico e ha portato ad un aumento del deposito della proteina beta-amiloide. Questo ha danneggiato irreversibilmente le funzioni cognitive degli animali, anche se giovani. Il periodo di frammentazione del sonno è stato di un mese, che corrisponde approssimativamente a tre anni di vita dell'uomo.

La malattia di Alzheimer è spesso caratterizzata da disturbi del sonno che possono peggiorare la condizione dei pazienti. La deprivazione del sonno, l'insonnia e le apnee influenzano negativamente il decorso della malattia. Infatti, nei pazienti con sonno disturbato, si riscontra un aumento del deposito cerebrale di beta-amiloide, una proteina che gioca un ruolo importante nella genesi della malattia di Alzheimer. In particolare, lo studio ha dimostrato che la ridotta eliminazione di beta-amiloide da parte del sistema glinfatico del cervello, che è particolarmente attivo durante il sonno profondo, contribuisce all'aumento del deposito cerebrale di questa proteina.

La ricerca ha dimostrato il forte legame tra disturbi del sonno e malattia di Alzheimer, evidenziando anche il meccanismo che sottostà a questo legame. Ci sono alcune importanti considerazioni che emergono da questi risultati:

In soggetti geneticamente predisposti alla malattia di Alzheimer, un sonno disturbato fin dall'età giovanile può favorire l'instaurarsi di processi neurodegenerativi.

I processi neurodegenerativi stessi, che sono caratteristici della malattia di Alzheimer, possono a loro volta compromettere la regolazione del sonno, creando un circolo vizioso che accelera la progressione della malattia.

Non solo la quantità, ma anche la qualità del sonno è importante per la prevenzione della malattia di Alzheimer. Infatti, è solo durante il sonno profondo che il cervello è in grado di eliminare le sostanze tossiche che si accumulano durante la veglia attraverso il sistema glinfatico, che funge da "pulitore" del cervello.

Anche in assenza di altri fattori che influiscono sulla quantità e la qualità del sonno, come la riduzione del tempo di sonno o la mancanza di ossigeno, la frammentazione del sonno a livello cerebrale può innescare e mantenere il processo di degenerazione neuronale, ostacolando il mantenimento del sonno profondo.

Una nota della Città della Salute sottolinea che sempre di più il sonno svela i suoi misteri: “Da un iniziale concetto di semplice interruzione della veglia (“tempo perso”), si sta sempre più comprendendo come il sonno sia un fenomeno attivo, durante il quale vengono eliminate le sostanze neurotossiche che si accumulano in veglia e regola il nostro metabolismo, il sistema immunitario e circolatorio. È comprensibile quindi come i disturbi del sonno, quali insonnie, apnee nel sonno e sindrome delle gambe senza riposo, per citare solo i più frequenti, costituiscano un significativo fattore di rischio per obesità, ipertensione, diabete, infarto, ictus, cancro e demenze ed in tal senso da includere nelle politiche di prevenzione sanitaria”.


Per la prima volta, una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica internazionale "Acta Neuropathologica Communications" ha dimostrato l'esistenza di un forte legame tra il sonno e la malattia di Alzheimer. Questa scoperta è stata ottenuta grazie alla collaborazione tra il Centro di Medicina del sonno dell'ospedale Molinette della Città della Salute di Torino, diretto dal professor Alessandro Cicolin, e il Neuroscience Institute of Cavalieri Ottolenghi (Nico), diretto dalla professoressa Michela Guglielmotto, entrambi affiliati al Dipartimento di Neuroscienze "Rita Levi Montalcini" dell'Università di Torino.

La ricerca ha esaminato l'effetto di un sonno disturbato su topi geneticamente predisposti alla deposizione di beta-amiloide. La frammentazione del sonno, ottenuta attraverso brevi risvegli senza modificare il tempo totale del sonno, ha compromesso il funzionamento del sistema glinfatico e ha portato ad un aumento del deposito della proteina beta-amiloide. Questo ha danneggiato irreversibilmente le funzioni cognitive degli animali, anche se giovani. Il periodo di frammentazione del sonno è stato di un mese, che corrisponde approssimativamente a tre anni di vita dell'uomo.

La malattia di Alzheimer è spesso caratterizzata da disturbi del sonno che possono peggiorare la condizione dei pazienti. La deprivazione del sonno, l'insonnia e le apnee influenzano negativamente il decorso della malattia. Infatti, nei pazienti con sonno disturbato, si riscontra un aumento del deposito cerebrale di beta-amiloide, una proteina che gioca un ruolo importante nella genesi della malattia di Alzheimer. In particolare, lo studio ha dimostrato che la ridotta eliminazione di beta-amiloide da parte del sistema glinfatico del cervello, che è particolarmente attivo durante il sonno profondo, contribuisce all'aumento del deposito cerebrale di questa proteina.

La ricerca ha dimostrato il forte legame tra disturbi del sonno e malattia di Alzheimer, evidenziando anche il meccanismo che sottostà a questo legame. Ci sono alcune importanti considerazioni che emergono da questi risultati:

In soggetti geneticamente predisposti alla malattia di Alzheimer, un sonno disturbato fin dall'età giovanile può favorire l'instaurarsi di processi neurodegenerativi.

I processi neurodegenerativi stessi, che sono caratteristici della malattia di Alzheimer, possono a loro volta compromettere la regolazione del sonno, creando un circolo vizioso che accelera la progressione della malattia.

Non solo la quantità, ma anche la qualità del sonno è importante per la prevenzione della malattia di Alzheimer. Infatti, è solo durante il sonno profondo che il cervello è in grado di eliminare le sostanze tossiche che si accumulano durante la veglia attraverso il sistema glinfatico, che funge da "pulitore" del cervello.

Anche in assenza di altri fattori che influiscono sulla quantità e la qualità del sonno, come la riduzione del tempo di sonno o la mancanza di ossigeno, la frammentazione del sonno a livello cerebrale può innescare e mantenere il processo di degenerazione neuronale, ostacolando il mantenimento del sonno profondo.

Una nota della Città della Salute sottolinea che sempre di più il sonno svela i suoi misteri: “Da un iniziale concetto di semplice interruzione della veglia (“tempo perso”), si sta sempre più comprendendo come il sonno sia un fenomeno attivo, durante il quale vengono eliminate le sostanze neurotossiche che si accumulano in veglia e regola il nostro metabolismo, il sistema immunitario e circolatorio. È comprensibile quindi come i disturbi del sonno, quali insonnie, apnee nel sonno e sindrome delle gambe senza riposo, per citare solo i più frequenti, costituiscano un significativo fattore di rischio per obesità, ipertensione, diabete, infarto, ictus, cancro e demenze ed in tal senso da includere nelle politiche di prevenzione sanitaria”.