Salute e benessere

Standard europeo per la diagnosi dei disturbi cognitivi: le nuove direttive su Alzheimer e altre forme di demenze

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23 Febbraio 2024

Una rivoluzionaria trasformazione nell'approccio diagnostico è stata introdotta: una nuova guida offre un chiaro percorso nel labirinto delle diagnosi dei disturbi cognitivi e dell'Alzheimer. Le prime raccomandazioni intersocietarie europee, frutto della collaborazione degli esperti delle principali Società Scientifiche del settore e coordinati da specialisti dell'Università di Genova – IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, dell'Università di Ginevra e dell'IRCCS Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia, promettono di individuare più tempestivamente e con maggiore precisione la patologia di coloro che presentano i primi segni di deterioramento cognitivo, distinguendo se si tratta di Alzheimer, come avviene nel 50% dei casi, o di un'altra forma di demenza.

Le nuove raccomandazioni, appena pubblicate sulla prestigiosa rivista The Lancet Neurology, segnano un'inversione di rotta: per la prima volta, anziché concentrarsi sulla malattia stessa, si focalizzano sul paziente e sui suoi sintomi. Attraverso undici differenti modalità di presentazione dei segni di deterioramento cognitivo e quattro passaggi successivi, con test differenziati in base al profilo individuale del paziente, si potrà giungere più agevolmente all'identificazione della patologia responsabile, riducendo al contempo sprechi di risorse e tempi diagnostici.

Il percorso diagnostico, oltre alle analisi del sangue, ai test cognitivi e alle immagini diagnostiche come la risonanza magnetica o la TAC, e in alcuni casi all'elettroencefalogramma previsti nel primo stadio, sarà adattato alle singole caratteristiche dei pazienti e potrà includere l'analisi di specifici marcatori nel liquido cerebrospinale, nonché PET o SPECT di vario tipo e scintigrafie. In un futuro prossimo, l'integrazione di biomarcatori rilevabili nel sangue potrebbe ridurre fino al 70% gli esami strumentali non necessari, consentendo diagnosi più precise, affidabili e tempestive, con conseguente contenimento dei costi per il Servizio Sanitario.

"Queste raccomandazioni derivano dalla necessità di avere linee guida internazionali condivise e ben documentate, incentrate sulla presentazione clinica dei sintomi anziché sulla malattia", spiega Flavio Nobili, co-coordinatore dello studio e Professore di Neurologia all'Università di Genova – IRCCS Ospedale Policlinico San Martino. "Il paziente con un deficit cognitivo iniziale ha circa il 50% di probabilità di avere l'Alzheimer o un'altra delle varie patologie che causano disturbi neurocognitivi. Per giungere a una diagnosi in un contesto così complesso, è necessario superare le molteplici cause e i molteplici test disponibili", aggiunge il prof. Nobili. "È fondamentale adottare raccomandazioni basate principalmente sui sintomi anziché sulla malattia stessa".

Lo studio, pubblicato su The Lancet Neurology, è il risultato di un lavoro congiunto di 22 esperti internazionali appartenenti alle 11 maggiori Società Scientifiche europee nei settori della neurologia, della psicogeriatria, della radiologia e della medicina nucleare. Durante un periodo di circa tre anni, sotto la supervisione di sei esperti riconosciuti a livello internazionale e con il supporto di un rappresentante dell'Associazione dei pazienti e dei loro familiari Alzheimer Europe, sono state elaborate e validate raccomandazioni diagnostiche basate sulla letteratura scientifica e sull'esperienza clinica.

Dopo una valutazione clinica iniziale, l'iter prevede ulteriori tre passaggi: un'analisi clinica dei sintomi, test cognitivi, esami del sangue come la vitamina B12 e i folati, risonanza magnetica o TAC e, in alcuni casi, elettroencefalogramma. Successivamente, a seconda del profilo sintomatologico individuale, si procede con iter diversificati che possono includere esami come la PET, la SPECT o l'analisi del liquido cerebrospinale per la valutazione di marcatori come la proteina tau e la proteina beta-amiloide. Infine, in caso di persistente incertezza diagnostica, si possono eseguire ulteriori test come la scintigrafia o specifiche tipologie di PET o analisi del liquido cerebrospinale.

"Queste raccomandazioni aiutano a formulare ipotesi diagnostiche e a condurre una serie logica di esami", afferma Federico Massa, coautore dello studio e ricercatore presso l'Università di Genova – IRCCS Ospedale Policlinico San Martino. "Evitano così l'esecuzione di esami superflui e costosi, offrendo un approccio mirato e personalizzato".

Le raccomandazioni, soggette a periodici aggiornamenti scientifici, sono consigliate per i pazienti al di sotto dei 70 anni seguiti nei Centri per i disturbi cognitivi e le demenze, mentre per i pazienti oltre questa età vanno valutate caso per caso. Si auspica che in futuro possano essere integrate con l'utilizzo dei biomarcatori di Alzheimer nel sangue, attualmente disponibili solo per la ricerca scientifica e in fase di approvazione per l'uso clinico.

Come evidenzia Giovanni Frisoni, coordinatore dello studio e Direttore del Centro della Memoria presso l'Università di Ginevra, "grazie a queste raccomandazioni, le persone con disturbi della memoria avranno accesso a una diagnosi standardizzata e di alta qualità in tutta Europa. La possibilità di integrare queste raccomandazioni con l'utilizzo di biomarcatori di Alzheimer nel sangue permetterà di individuare i pazienti nel momento più opportuno e, in un futuro prossimo, di indirizzarli verso terapie innovative che possono ritardare la progressione della malattia".

Una rivoluzionaria trasformazione nell'approccio diagnostico è stata introdotta: una nuova guida offre un chiaro percorso nel labirinto delle diagnosi dei disturbi cognitivi e dell'Alzheimer. Le prime raccomandazioni intersocietarie europee, frutto della collaborazione degli esperti delle principali Società Scientifiche del settore e coordinati da specialisti dell'Università di Genova – IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, dell'Università di Ginevra e dell'IRCCS Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia, promettono di individuare più tempestivamente e con maggiore precisione la patologia di coloro che presentano i primi segni di deterioramento cognitivo, distinguendo se si tratta di Alzheimer, come avviene nel 50% dei casi, o di un'altra forma di demenza.

Le nuove raccomandazioni, appena pubblicate sulla prestigiosa rivista The Lancet Neurology, segnano un'inversione di rotta: per la prima volta, anziché concentrarsi sulla malattia stessa, si focalizzano sul paziente e sui suoi sintomi. Attraverso undici differenti modalità di presentazione dei segni di deterioramento cognitivo e quattro passaggi successivi, con test differenziati in base al profilo individuale del paziente, si potrà giungere più agevolmente all'identificazione della patologia responsabile, riducendo al contempo sprechi di risorse e tempi diagnostici.

Il percorso diagnostico, oltre alle analisi del sangue, ai test cognitivi e alle immagini diagnostiche come la risonanza magnetica o la TAC, e in alcuni casi all'elettroencefalogramma previsti nel primo stadio, sarà adattato alle singole caratteristiche dei pazienti e potrà includere l'analisi di specifici marcatori nel liquido cerebrospinale, nonché PET o SPECT di vario tipo e scintigrafie. In un futuro prossimo, l'integrazione di biomarcatori rilevabili nel sangue potrebbe ridurre fino al 70% gli esami strumentali non necessari, consentendo diagnosi più precise, affidabili e tempestive, con conseguente contenimento dei costi per il Servizio Sanitario.

"Queste raccomandazioni derivano dalla necessità di avere linee guida internazionali condivise e ben documentate, incentrate sulla presentazione clinica dei sintomi anziché sulla malattia", spiega Flavio Nobili, co-coordinatore dello studio e Professore di Neurologia all'Università di Genova – IRCCS Ospedale Policlinico San Martino. "Il paziente con un deficit cognitivo iniziale ha circa il 50% di probabilità di avere l'Alzheimer o un'altra delle varie patologie che causano disturbi neurocognitivi. Per giungere a una diagnosi in un contesto così complesso, è necessario superare le molteplici cause e i molteplici test disponibili", aggiunge il prof. Nobili. "È fondamentale adottare raccomandazioni basate principalmente sui sintomi anziché sulla malattia stessa".

Lo studio, pubblicato su The Lancet Neurology, è il risultato di un lavoro congiunto di 22 esperti internazionali appartenenti alle 11 maggiori Società Scientifiche europee nei settori della neurologia, della psicogeriatria, della radiologia e della medicina nucleare. Durante un periodo di circa tre anni, sotto la supervisione di sei esperti riconosciuti a livello internazionale e con il supporto di un rappresentante dell'Associazione dei pazienti e dei loro familiari Alzheimer Europe, sono state elaborate e validate raccomandazioni diagnostiche basate sulla letteratura scientifica e sull'esperienza clinica.

Dopo una valutazione clinica iniziale, l'iter prevede ulteriori tre passaggi: un'analisi clinica dei sintomi, test cognitivi, esami del sangue come la vitamina B12 e i folati, risonanza magnetica o TAC e, in alcuni casi, elettroencefalogramma. Successivamente, a seconda del profilo sintomatologico individuale, si procede con iter diversificati che possono includere esami come la PET, la SPECT o l'analisi del liquido cerebrospinale per la valutazione di marcatori come la proteina tau e la proteina beta-amiloide. Infine, in caso di persistente incertezza diagnostica, si possono eseguire ulteriori test come la scintigrafia o specifiche tipologie di PET o analisi del liquido cerebrospinale.

"Queste raccomandazioni aiutano a formulare ipotesi diagnostiche e a condurre una serie logica di esami", afferma Federico Massa, coautore dello studio e ricercatore presso l'Università di Genova – IRCCS Ospedale Policlinico San Martino. "Evitano così l'esecuzione di esami superflui e costosi, offrendo un approccio mirato e personalizzato".

Le raccomandazioni, soggette a periodici aggiornamenti scientifici, sono consigliate per i pazienti al di sotto dei 70 anni seguiti nei Centri per i disturbi cognitivi e le demenze, mentre per i pazienti oltre questa età vanno valutate caso per caso. Si auspica che in futuro possano essere integrate con l'utilizzo dei biomarcatori di Alzheimer nel sangue, attualmente disponibili solo per la ricerca scientifica e in fase di approvazione per l'uso clinico.

Come evidenzia Giovanni Frisoni, coordinatore dello studio e Direttore del Centro della Memoria presso l'Università di Ginevra, "grazie a queste raccomandazioni, le persone con disturbi della memoria avranno accesso a una diagnosi standardizzata e di alta qualità in tutta Europa. La possibilità di integrare queste raccomandazioni con l'utilizzo di biomarcatori di Alzheimer nel sangue permetterà di individuare i pazienti nel momento più opportuno e, in un futuro prossimo, di indirizzarli verso terapie innovative che possono ritardare la progressione della malattia".

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