Salute e benessere

Morbo di Alzheimer: lo studio della professoressa Giovanna Zamboni sui sintomi della malattia

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15 Marzo 2022

Il morbo di Alzheimer, nonostante rappresenti uno dei più noti e complessi disturbi neurodegenerativi fino ad ora approfonditi, necessita al giorno d’oggi di costanti e continue ricerche scientifiche. Nel tentativo di individuare le origini e le cause della malattia, in grado di arrecare gravi danni nei soggetti più anziani, ha assunto grande rilevanza lo studio condotto dalla Professoressa di Neurologia dell’Università di Modena e Reggio Emilia, Giovanna Zamboni. Quest’ultima, infatti, attraverso un’indagine sui sintomi e le manifestazioni della patologia, ha ottenuto il finanziamento di oltre 1 milione e 200 mila euro da parte dell’ERC, European Research Council.

L’analisi, riguardante i meccanismi cerebrali che causano alcuni degli effetti più bizzarri ed “inspiegati” della malattia di Alzheimer e di altre forme di demenza, ha in breve tempo ottenuto l’approvazione del consiglio di Bruxelles, rientrando tra i solo 28 progetti di ricerca giudicati meritevoli di finanziamento. La sperimentazione, che durerà all’incirca cinque anni, non coinvolgerà solo i pazienti colpiti dal morbo di Alzheimer ed i rispettivi caregiver, ma anche i malati di Parkinson e quelli affetti dalla Malattia di Huntington, oltre a persone cognitivamente sane di età e sesso simile ai pazienti reclutati, che fungeranno da gruppo di controllo. Come affermato dalla Professoressa stessa durante un’intervista rilasciata al magazine Vita.it, “ai pazienti reclutati sarà chiesto, a seconda del tipo di studio a cui partecipano, di sottoporsi a valutazioni neuropsicologiche ripetute nel tempo, e/o ad uno o più esami di risonanza magnetica cerebrale. Ai caregiver sarà chiesto di rispondere a domande riguardanti il comportamento e la personalità del loro caro. La valutazione neuropsicologica è un colloquio in cui un esaminatore somministra al paziente vari test (mediante carta e penna o computerizzati) per misurare la sua performance in diverse abilità cognitive quali memoria, linguaggio, attenzione. La risonanza magnetica cerebrale nei pazienti con demenza serve solitamente a misurare quanto avanzato è il grado di atrofia ovvero di perdita di cellule cerebrali in diverse aree del cervello. In aggiunta alle sequenze di risonanza solitamente usate nella pratica clinica, nei nostri studi acquisiremo anche sequenze funzionali, che permettono di visualizzare il funzionamento del cervello, sia a riposo, sia durante l’esecuzione di compiti […] Sarà poi compito di noi ricercatori quello di analizzare mediante analisi molto complesse le connessioni cerebrali alla base del funzionamento cerebrale in ogni paziente, e metterle poi in relazione agli specifici sintomi”.

Giovanna Zamboni, laureata in Medicina e specializzata in Neurologia, ha lavorato all’estero come Neurologa accademica e Ricercatrice per quasi 12 anni, prima al “National Institutes of Health” negli Stati Uniti, e poi più a lungo presso l’Università di Oxford, in Inghilterra: la sua ricerca, da sempre focalizzata sull’utilizzo delle tecniche avanzate di “neuroimaging” per studiare le malattie che conducono alla demenza, vorrebbe dimostrare come lo sviluppo di alcuni sintomi della malattia, e la manifestazione dei deliri di persecuzione solo in alcuni soggetti, dipendano anche da come gli individui, nel corso della propria esistenza, abbiano usato il cervello, dalla loro personalità, dalle loro abitudini di vita, e da quali connessioni cerebrali hanno rafforzato piuttosto che indebolito. L’anosognosia, ovvero la mancata consapevolezza da parte del paziente di un sintomo neurologico di cui è affetto, costituirà uno dei temi centrali dell’indagine: il riscontro delle ragioni per cui certi pazienti sviluppino anosognosia fin da subito mentre altri rimangano consapevoli fin nelle più avanzate fasi di malattia, rappresenterà infatti l’obiettivo ultimo della sperimentazione, con l’identificazione, e la successiva modifica farmacologica, del neurotrasmettitore responsabile dei sintomi.

Come rivelato dalla Neurologa, “spero che il nostro lavoro contribuisca a cambiare la prospettiva della ricerca neuroscientifica sulle malattie che causano demenza, spostando il focus dallo studio di 'ciò che è andato perso e non funziona più' allo studio di 'ciò che è rimasto e sta adattandosi al danno'." Il progetto, a cui parteciperà un gruppo di “neuroscienziati imagers” dell’Università di Modena e Reggio Emilia, con la stretta collaborazione di un project manager e di un team di clinici del Centro di Neurologia cognitiva, offrirà anche un’opportunità di assunzione per tre nuove figure di ricercatrici o ricercatori, con competenze che spaziano fra neurologia, psicologia, fisica e matematica

Il morbo di Alzheimer, nonostante rappresenti uno dei più noti e complessi disturbi neurodegenerativi fino ad ora approfonditi, necessita al giorno d’oggi di costanti e continue ricerche scientifiche. Nel tentativo di individuare le origini e le cause della malattia, in grado di arrecare gravi danni nei soggetti più anziani, ha assunto grande rilevanza lo studio condotto dalla Professoressa di Neurologia dell’Università di Modena e Reggio Emilia, Giovanna Zamboni. Quest’ultima, infatti, attraverso un’indagine sui sintomi e le manifestazioni della patologia, ha ottenuto il finanziamento di oltre 1 milione e 200 mila euro da parte dell’ERC, European Research Council.

L’analisi, riguardante i meccanismi cerebrali che causano alcuni degli effetti più bizzarri ed “inspiegati” della malattia di Alzheimer e di altre forme di demenza, ha in breve tempo ottenuto l’approvazione del consiglio di Bruxelles, rientrando tra i solo 28 progetti di ricerca giudicati meritevoli di finanziamento. La sperimentazione, che durerà all’incirca cinque anni, non coinvolgerà solo i pazienti colpiti dal morbo di Alzheimer ed i rispettivi caregiver, ma anche i malati di Parkinson e quelli affetti dalla Malattia di Huntington, oltre a persone cognitivamente sane di età e sesso simile ai pazienti reclutati, che fungeranno da gruppo di controllo. Come affermato dalla Professoressa stessa durante un’intervista rilasciata al magazine Vita.it, “ai pazienti reclutati sarà chiesto, a seconda del tipo di studio a cui partecipano, di sottoporsi a valutazioni neuropsicologiche ripetute nel tempo, e/o ad uno o più esami di risonanza magnetica cerebrale. Ai caregiver sarà chiesto di rispondere a domande riguardanti il comportamento e la personalità del loro caro. La valutazione neuropsicologica è un colloquio in cui un esaminatore somministra al paziente vari test (mediante carta e penna o computerizzati) per misurare la sua performance in diverse abilità cognitive quali memoria, linguaggio, attenzione. La risonanza magnetica cerebrale nei pazienti con demenza serve solitamente a misurare quanto avanzato è il grado di atrofia ovvero di perdita di cellule cerebrali in diverse aree del cervello. In aggiunta alle sequenze di risonanza solitamente usate nella pratica clinica, nei nostri studi acquisiremo anche sequenze funzionali, che permettono di visualizzare il funzionamento del cervello, sia a riposo, sia durante l’esecuzione di compiti […] Sarà poi compito di noi ricercatori quello di analizzare mediante analisi molto complesse le connessioni cerebrali alla base del funzionamento cerebrale in ogni paziente, e metterle poi in relazione agli specifici sintomi”.

Giovanna Zamboni, laureata in Medicina e specializzata in Neurologia, ha lavorato all’estero come Neurologa accademica e Ricercatrice per quasi 12 anni, prima al “National Institutes of Health” negli Stati Uniti, e poi più a lungo presso l’Università di Oxford, in Inghilterra: la sua ricerca, da sempre focalizzata sull’utilizzo delle tecniche avanzate di “neuroimaging” per studiare le malattie che conducono alla demenza, vorrebbe dimostrare come lo sviluppo di alcuni sintomi della malattia, e la manifestazione dei deliri di persecuzione solo in alcuni soggetti, dipendano anche da come gli individui, nel corso della propria esistenza, abbiano usato il cervello, dalla loro personalità, dalle loro abitudini di vita, e da quali connessioni cerebrali hanno rafforzato piuttosto che indebolito. L’anosognosia, ovvero la mancata consapevolezza da parte del paziente di un sintomo neurologico di cui è affetto, costituirà uno dei temi centrali dell’indagine: il riscontro delle ragioni per cui certi pazienti sviluppino anosognosia fin da subito mentre altri rimangano consapevoli fin nelle più avanzate fasi di malattia, rappresenterà infatti l’obiettivo ultimo della sperimentazione, con l’identificazione, e la successiva modifica farmacologica, del neurotrasmettitore responsabile dei sintomi.

Come rivelato dalla Neurologa, “spero che il nostro lavoro contribuisca a cambiare la prospettiva della ricerca neuroscientifica sulle malattie che causano demenza, spostando il focus dallo studio di 'ciò che è andato perso e non funziona più' allo studio di 'ciò che è rimasto e sta adattandosi al danno'." Il progetto, a cui parteciperà un gruppo di “neuroscienziati imagers” dell’Università di Modena e Reggio Emilia, con la stretta collaborazione di un project manager e di un team di clinici del Centro di Neurologia cognitiva, offrirà anche un’opportunità di assunzione per tre nuove figure di ricercatrici o ricercatori, con competenze che spaziano fra neurologia, psicologia, fisica e matematica