Lotta all’Alzheimer: il trattamento Aducanumab di Biogen supera la fase 3 della sperimentazione clinica

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22 Novembre 2021

Il morbo di Alzheimer, malattia degenerativa del cervello che provoca un lento declino delle funzioni cerebrali, rappresenta una delle più comuni patologie che interessano gli anziani, configurandosi come una forma di demenza che può cambiare in modo sostanziale la qualità di vita delle persone con l’avanzare dell’età.
L’Alzheimer si manifesta con diversi sintomi: perdita di memoria, disorientamento, disturbi della personalità e difficoltà nell’utilizzo del linguaggio sono solo alcuni dei segnali di allarme, causati da una lenta distruzione delle cellule del cervello, che sta alla base del deterioramento delle funzioni cognitive. La difficoltà nello svolgere in modo naturale le attività quotidiane implica una perdita di autonomia e di indipendenza, che costringe il paziente al ricorso di aiuto ed assistenza, in grado di garantirne il giusto supporto medico e psicologico.

Nel corso degli anni, la lotta a questa malattia è stata al centro di innumerevoli ricerche mediche e scientifiche, che hanno coinvolto studiosi e ricercatori da tutto il mondo: grazie al progresso della ricerca, una delle più promettenti novità è rappresentata dal farmaco Aducanumab, studiato per limitare e rallentare il declino cognitivo dei soggetti colpiti dal morbo di Alzheimer. Questo farmaco, costituito da un anticorpo monoclonale, è stato approvato lo scorso giugno dalla FDA, Agenzia del farmaco americana: sarebbe infatti in grado di migliorare le condizioni dei pazienti con Alzheimer nelle fasi inziali della malattia e ha superato con successo la terza fase di sperimentazione clinica; cosa che potrebbe presto condurre questo trattamento ad essere approvato e messo in commercio in America. In Europa prevale invece una posizione più cauta: è notizia recente che l’EMA abbia espresso per ora un parere negativo circa la commercializzazione del trattamento in UE.

La casa farmaceutica Biogen, infatti, sottolinea con ottimismo gli effetti positivi che la somministrazione sperimentale del farmaco ha esercitato: i dati ottenuti da oltre 7000 campioni di plasma di circa 1800 pazienti hanno evidenziato una riduzione della proteina p-taul181, biomarcatore responsabile, in parte, della malattia. Grazie alla sua azione contro la formazione di grovigli di proteine e di placche di beta amiloide, sarebbe possibile decelerare l’avanzamento del disturbo con una riduzione della proteina di circa il 13%, se somministrato ad alto dosaggio, e del 8% con basso dosaggio. La conferma scientifica che queste indicazioni hanno ottenuto ha generato un clima di speranza e fiducia: i ricercatori sperano nel tempo di riuscire a ricavare sempre più informazioni, al fine di conseguire una terapia sicura ed efficace, capace di combattere questa grave forma di demenza. 

I progressi della cura sperimentale descritti dal neurologo Hansonn, docente all’Università di Lund, durante il congresso CTAD (Clinical Trials on Alzheimer's Disease), confermano gli obiettivi raggiunti, fornendo inoltre specifiche informazioni sulle caratteristiche e sulle peculiarità del morbo: sebbene questo farmaco non rappresenti la soluzione definitiva al problema, costituisce un enorme passo in avanti della ricerca, che permette di affrontare con più fiducia e ottimismo il futuro. 
Nonostante le critiche, che riguardano principalmente il costo elevato del farmaco, il numero ridotto di pazienti che ne potrebbero avere accesso e i conseguenti effetti collaterali, la fase sperimentale in corso è sotto indagine da parte della House Committee on Oversight and Reform della Camera degli Stati uniti. Con la speranza di ottenere un’approvazione, che condurrebbe ad un importante avanzamento della ricerca, l’intero panorama scientifico auspica il successo della ricerca, per un futuro ricco di scoperte in grado di raggiungere traguardi che solo pochi anni fa sembravano irraggiungibili.


Il morbo di Alzheimer, malattia degenerativa del cervello che provoca un lento declino delle funzioni cerebrali, rappresenta una delle più comuni patologie che interessano gli anziani, configurandosi come una forma di demenza che può cambiare in modo sostanziale la qualità di vita delle persone con l’avanzare dell’età.
L’Alzheimer si manifesta con diversi sintomi: perdita di memoria, disorientamento, disturbi della personalità e difficoltà nell’utilizzo del linguaggio sono solo alcuni dei segnali di allarme, causati da una lenta distruzione delle cellule del cervello, che sta alla base del deterioramento delle funzioni cognitive. La difficoltà nello svolgere in modo naturale le attività quotidiane implica una perdita di autonomia e di indipendenza, che costringe il paziente al ricorso di aiuto ed assistenza, in grado di garantirne il giusto supporto medico e psicologico.

Nel corso degli anni, la lotta a questa malattia è stata al centro di innumerevoli ricerche mediche e scientifiche, che hanno coinvolto studiosi e ricercatori da tutto il mondo: grazie al progresso della ricerca, una delle più promettenti novità è rappresentata dal farmaco Aducanumab, studiato per limitare e rallentare il declino cognitivo dei soggetti colpiti dal morbo di Alzheimer. Questo farmaco, costituito da un anticorpo monoclonale, è stato approvato lo scorso giugno dalla FDA, Agenzia del farmaco americana: sarebbe infatti in grado di migliorare le condizioni dei pazienti con Alzheimer nelle fasi inziali della malattia e ha superato con successo la terza fase di sperimentazione clinica; cosa che potrebbe presto condurre questo trattamento ad essere approvato e messo in commercio in America. In Europa prevale invece una posizione più cauta: è notizia recente che l’EMA abbia espresso per ora un parere negativo circa la commercializzazione del trattamento in UE.

La casa farmaceutica Biogen, infatti, sottolinea con ottimismo gli effetti positivi che la somministrazione sperimentale del farmaco ha esercitato: i dati ottenuti da oltre 7000 campioni di plasma di circa 1800 pazienti hanno evidenziato una riduzione della proteina p-taul181, biomarcatore responsabile, in parte, della malattia. Grazie alla sua azione contro la formazione di grovigli di proteine e di placche di beta amiloide, sarebbe possibile decelerare l’avanzamento del disturbo con una riduzione della proteina di circa il 13%, se somministrato ad alto dosaggio, e del 8% con basso dosaggio. La conferma scientifica che queste indicazioni hanno ottenuto ha generato un clima di speranza e fiducia: i ricercatori sperano nel tempo di riuscire a ricavare sempre più informazioni, al fine di conseguire una terapia sicura ed efficace, capace di combattere questa grave forma di demenza. 

I progressi della cura sperimentale descritti dal neurologo Hansonn, docente all’Università di Lund, durante il congresso CTAD (Clinical Trials on Alzheimer's Disease), confermano gli obiettivi raggiunti, fornendo inoltre specifiche informazioni sulle caratteristiche e sulle peculiarità del morbo: sebbene questo farmaco non rappresenti la soluzione definitiva al problema, costituisce un enorme passo in avanti della ricerca, che permette di affrontare con più fiducia e ottimismo il futuro. 
Nonostante le critiche, che riguardano principalmente il costo elevato del farmaco, il numero ridotto di pazienti che ne potrebbero avere accesso e i conseguenti effetti collaterali, la fase sperimentale in corso è sotto indagine da parte della House Committee on Oversight and Reform della Camera degli Stati uniti. Con la speranza di ottenere un’approvazione, che condurrebbe ad un importante avanzamento della ricerca, l’intero panorama scientifico auspica il successo della ricerca, per un futuro ricco di scoperte in grado di raggiungere traguardi che solo pochi anni fa sembravano irraggiungibili.

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