Salute e benessere

La tristezza aumenterebbe, negli anziani, le probabilità di sviluppare malattie neurodegenerative e demenza

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7 Febbraio 2023

Una ricerca sull'impatto delle emozioni sul cervello di giovani e anziani ha rivelato che cambiare rapidamente emozioni può fare bene alla salute mentale. Al contrario, l'inerzia emotiva, cioè la difficoltà di passare da un'emozione all'altra, principalmente per liberarsi da cattivi pensieri, depressione e ansia, può favorire lo sviluppo di malattie neurodegenerative e demenza. Lo studio è stato descritto sulla rivista Nature Aging, dai ricercatori dell'Università di Ginevra.

L'esperimento condotto dagli scienziati ha coinvolto due gruppi, uno composto da 27 persone con più di 65 anni e l'altro da 29 persone di età intorno ai 25 anni. I partecipanti hanno visionato cortometraggi che ritraevano individui in situazioni di sofferenza, a causa di eventi catastrofici o di drammi familiari. I video sono stati alternati a immagini emotivamente neutre. Una risonanza magnetica funzionale è stata eseguita sui volontari durante la visione delle proiezioni. Le immagini cerebrali hanno mostrato che l'inerzia emotiva, cioè la difficoltà a lasciar andare le emozioni negative, ha causato cambiamenti nelle regioni del cervello associate a un aumentato rischio di malattie neurodegenerative.

Generalmente gli anziani, a differenza dei più giovani, tendono a vedere il bicchiere mezzo pieno. Quando provano emozioni negative, tuttavia, tendono a rimanere ancorati più a lungo. Questa permanenza prolungata, sia essa in stato di depressione o di ansia, può, in età avanzata, trasformare un fisiologico declino cognitivo in una patologia neurodegenerativa. 

“È la scarsa regolazione emotiva e l’ansia che aumentano il rischio di demenza o viceversa? Ancora non lo sappiamo. La nostra ipotesi è che le persone più ansiose hanno minore capacità di distacco emotivo. Il meccanismo dell'inerzia emotiva nel contesto dell'invecchiamento sarebbe quindi spiegato dal fatto che il cervello di queste persone rimane ‘congelato’ in uno stato negativo mettendo in relazione la sofferenza degli altri con i propri ricordi emotivi”, spiega Sebastian Baez Lugo, uno degli autori dello studio.

Sulla base di questi risultati, sarebbe possibile affermare che un maggiore distacco emotivo potrebbe, in una certa misura, ridurre il rischio di sviluppare malattie neurodegenerative o demenza in età avanzata. In effetti, i ricercatori si sono chiesti se esercizi come la meditazione, ad esempio, potessero proteggere il cervello dai danni dell'inerzia emotiva. La risposta dovrà aspettare ancora un po' per essere pronta. Più precisamente 18 mesi, quando dovrebbero uscire i risultati di uno studio in corso per valutare gli effetti della meditazione sulle performance cognitive. Imparare una nuova lingua è il punto di riferimento.

“Per affinare ulteriormente i nostri risultati, confronteremo anche gli effetti di due tipi di meditazione: la mindfulness, che consiste nell'ancorarsi al momento presente per concentrarsi sui propri sentimenti, e quella che è nota come meditazione “compassionevole”, che mira a potenziare le emozioni positive nei confronti degli altri”, chiariscono gli autori. 


Una ricerca sull'impatto delle emozioni sul cervello di giovani e anziani ha rivelato che cambiare rapidamente emozioni può fare bene alla salute mentale. Al contrario, l'inerzia emotiva, cioè la difficoltà di passare da un'emozione all'altra, principalmente per liberarsi da cattivi pensieri, depressione e ansia, può favorire lo sviluppo di malattie neurodegenerative e demenza. Lo studio è stato descritto sulla rivista Nature Aging, dai ricercatori dell'Università di Ginevra.

L'esperimento condotto dagli scienziati ha coinvolto due gruppi, uno composto da 27 persone con più di 65 anni e l'altro da 29 persone di età intorno ai 25 anni. I partecipanti hanno visionato cortometraggi che ritraevano individui in situazioni di sofferenza, a causa di eventi catastrofici o di drammi familiari. I video sono stati alternati a immagini emotivamente neutre. Una risonanza magnetica funzionale è stata eseguita sui volontari durante la visione delle proiezioni. Le immagini cerebrali hanno mostrato che l'inerzia emotiva, cioè la difficoltà a lasciar andare le emozioni negative, ha causato cambiamenti nelle regioni del cervello associate a un aumentato rischio di malattie neurodegenerative.

Generalmente gli anziani, a differenza dei più giovani, tendono a vedere il bicchiere mezzo pieno. Quando provano emozioni negative, tuttavia, tendono a rimanere ancorati più a lungo. Questa permanenza prolungata, sia essa in stato di depressione o di ansia, può, in età avanzata, trasformare un fisiologico declino cognitivo in una patologia neurodegenerativa. 

“È la scarsa regolazione emotiva e l’ansia che aumentano il rischio di demenza o viceversa? Ancora non lo sappiamo. La nostra ipotesi è che le persone più ansiose hanno minore capacità di distacco emotivo. Il meccanismo dell'inerzia emotiva nel contesto dell'invecchiamento sarebbe quindi spiegato dal fatto che il cervello di queste persone rimane ‘congelato’ in uno stato negativo mettendo in relazione la sofferenza degli altri con i propri ricordi emotivi”, spiega Sebastian Baez Lugo, uno degli autori dello studio.

Sulla base di questi risultati, sarebbe possibile affermare che un maggiore distacco emotivo potrebbe, in una certa misura, ridurre il rischio di sviluppare malattie neurodegenerative o demenza in età avanzata. In effetti, i ricercatori si sono chiesti se esercizi come la meditazione, ad esempio, potessero proteggere il cervello dai danni dell'inerzia emotiva. La risposta dovrà aspettare ancora un po' per essere pronta. Più precisamente 18 mesi, quando dovrebbero uscire i risultati di uno studio in corso per valutare gli effetti della meditazione sulle performance cognitive. Imparare una nuova lingua è il punto di riferimento.

“Per affinare ulteriormente i nostri risultati, confronteremo anche gli effetti di due tipi di meditazione: la mindfulness, che consiste nell'ancorarsi al momento presente per concentrarsi sui propri sentimenti, e quella che è nota come meditazione “compassionevole”, che mira a potenziare le emozioni positive nei confronti degli altri”, chiariscono gli autori. 

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