Costume e Società

Il 90% degli anziani non autosufficienti in Italia è assistito dai familiari

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11 Luglio 2022

Gli anziani, con le loro pensioni, sono ancora fonte di collaborazione e di reddito indispensabile per le loro famiglie. Da un'indagine commissionata da Family Care e realizzata dal Censis risulta che il 70% degli italiani lo sa bene. Sebbene il legame tra anzianità e povertà sia ancora forte nell'immaginario popolare, la realtà può essere ben diversa: gli anziani hanno il 40% della ricchezza nazionale, il che significa il doppio di quello che avevano 25 anni fa, anche se spesso, questa ricchezza è condivisa con il resto della famiglia. La ricerca mostra che in Italia 1 famiglia su 3 ha un beneficiario di pensione per  lavoro al suo interno. 

Pertanto in Italia esiste già un sistema di prossimità e sostegno comunitario per gli anziani non autosufficienti, ma questo può ancora essere rafforzato. A patto che venga realizzato entro questa Legislatura (primavera 2023), Il PNRR prevede fondi per la riforma a favore degli anziani non autosufficienti. Sono circa 7,5 miliardi gli investimenti che puntano al miglioramento della qualità della vita di queste persone, di cui 6,5 miliardi sarebbero destinati solo agli anziani che tendenzialmente non più autonomi. Due miliardi sarebbero destinati alla transizione delle RSA a residenze comunitarie; 1 miliardo per gli ospedali di comunità che servono indirettamente gli anziani dei piccoli centri; 4 miliardi finalizzati alla modernizzazione dell'assistenza domiciliare; e, infine, 500 milioni che sarebbero destinati a prevenire l'istituzionalizzazione di persone non autosufficienti, di cui gli anziani rappresentano la maggioranza.

Il percorso che si traccia, quindi, è quello della deistituzionalizzazione dell'assistenza agli anziani non autosufficienti. La riforma deve però tenere conto della situazione attuale, che si basa essenzialmente sull'iniziativa familiare: nel 90% dei casi, gli anziani non autosufficienti del Paese sono assistiti dai familiari, in particolare dal coniuge. Questo si traduce in 4 milioni di italiani che, in un modo o nell'altro, si prendono cura dei propri familiari non più autosufficienti, supportati da mezzo milione di badanti, di cui 350 mila conviventi. Un sistema che è già di prossimità e comunitario e che, nonostante tutto, ha resistito al Covid, tra isolamento, virus, regole poco chiare e paura - un miscuglio che poteva essere esplosivo, ma che, nella maggior parte dei casi, ha prevalso il senso e lo spirito di adattamento, dimostrando che la badante è anche “parte” della famiglia.

 La riforma intende anche consolidare il sistema esistente, con corsi di formazione. Inoltre, il 75% delle famiglie attende qualche forma di incentivo o addirittura detrazione per le badanti e anche per attrezzature domestiche in grado di facilitare la cura degli anziani. Ci sono ancora altri obiettivi da raggiungere. La cosa più importante riguarda l'assistenza di tipo residenziale. L'obiettivo è che, entro il 2026, questo tipo di assistenza raggiunga il 10% degli over 65. Attualmente i posti letti assistenziali tradizionali o comunitari coprono solo il 2% degli anziani e solo il 6% di essi ha accesso all'assistenza domiciliare, ma con un numero di ore annue molto basso e insufficiente (18 in media).

L'obiettivo è ambizioso, ma è probabile che le risorse finanziarie da sole non siano sufficienti per raggiungerlo. Ci sono due problemi difficili da risolvere in breve tempo:

Il primo è che le quattro grandi regioni del Nord (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto) hanno il 60% dei posti letto e, in relazione al numero di abitanti, queste regioni hanno 10 volte più posti letto delle quattro grandi regioni del Sud (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia). La spiegazione potrebbe risiedere anche nel fatto che al Sud gli anziani sono tradizionalmente tenuti in casa più a lungo. Anche così, la costruzione di nuove strutture richiede tempo e sarebbe impensabile adattare altri edifici

Inoltre il sistema italiano soffre già di un'enorme carenza di personale specializzato (mancano almeno 100.000 unità). La formazione dei professionisti richiede tempo e una rivoluzione nei criteri di accesso.

Tutto questo, senza tener conto che non esiste un piano organico di gestione strategica che deve necessariamente essere integrata e articolata. “Come confermano i dati del Censis, è innegabile che i nostri anziani rappresentino per le famiglie italiane un punto di riferimento economico e che la loro cura e assistenza graviti ancora in maniera cospicua su famigliari e parenti. Proprio in questo senso va la mission di Family Care, che da quasi 10 anni offre alle famiglie italiane la garanzia di affidarsi a personale altamente preparato e formato per la cura dei propri cari bisognosi di assistenza”, dichiara Rosario Rasizza, AD di Family Care

“Nel caso delle badanti, anche in un momento delicato come la pandemia, siamo riusciti a fare in modo che il 90% di loro completasse il ciclo vaccinale e proseguisse il percorso senza intoppi. Ci siamo battuti per questo, ma non è abbastanza: siamo consapevoli che manca ancora personale specializzato, strutture adeguate così come incentivi consoni, ma quanto è stato ottenuto finora ci sprona a essere ottimisti per il futuro, sperando sempre di avere il sostegno attivo delle istituzioni”, conclude.


Gli anziani, con le loro pensioni, sono ancora fonte di collaborazione e di reddito indispensabile per le loro famiglie. Da un'indagine commissionata da Family Care e realizzata dal Censis risulta che il 70% degli italiani lo sa bene. Sebbene il legame tra anzianità e povertà sia ancora forte nell'immaginario popolare, la realtà può essere ben diversa: gli anziani hanno il 40% della ricchezza nazionale, il che significa il doppio di quello che avevano 25 anni fa, anche se spesso, questa ricchezza è condivisa con il resto della famiglia. La ricerca mostra che in Italia 1 famiglia su 3 ha un beneficiario di pensione per  lavoro al suo interno. 

Pertanto in Italia esiste già un sistema di prossimità e sostegno comunitario per gli anziani non autosufficienti, ma questo può ancora essere rafforzato. A patto che venga realizzato entro questa Legislatura (primavera 2023), Il PNRR prevede fondi per la riforma a favore degli anziani non autosufficienti. Sono circa 7,5 miliardi gli investimenti che puntano al miglioramento della qualità della vita di queste persone, di cui 6,5 miliardi sarebbero destinati solo agli anziani che tendenzialmente non più autonomi. Due miliardi sarebbero destinati alla transizione delle RSA a residenze comunitarie; 1 miliardo per gli ospedali di comunità che servono indirettamente gli anziani dei piccoli centri; 4 miliardi finalizzati alla modernizzazione dell'assistenza domiciliare; e, infine, 500 milioni che sarebbero destinati a prevenire l'istituzionalizzazione di persone non autosufficienti, di cui gli anziani rappresentano la maggioranza.

Il percorso che si traccia, quindi, è quello della deistituzionalizzazione dell'assistenza agli anziani non autosufficienti. La riforma deve però tenere conto della situazione attuale, che si basa essenzialmente sull'iniziativa familiare: nel 90% dei casi, gli anziani non autosufficienti del Paese sono assistiti dai familiari, in particolare dal coniuge. Questo si traduce in 4 milioni di italiani che, in un modo o nell'altro, si prendono cura dei propri familiari non più autosufficienti, supportati da mezzo milione di badanti, di cui 350 mila conviventi. Un sistema che è già di prossimità e comunitario e che, nonostante tutto, ha resistito al Covid, tra isolamento, virus, regole poco chiare e paura - un miscuglio che poteva essere esplosivo, ma che, nella maggior parte dei casi, ha prevalso il senso e lo spirito di adattamento, dimostrando che la badante è anche “parte” della famiglia.

 La riforma intende anche consolidare il sistema esistente, con corsi di formazione. Inoltre, il 75% delle famiglie attende qualche forma di incentivo o addirittura detrazione per le badanti e anche per attrezzature domestiche in grado di facilitare la cura degli anziani. Ci sono ancora altri obiettivi da raggiungere. La cosa più importante riguarda l'assistenza di tipo residenziale. L'obiettivo è che, entro il 2026, questo tipo di assistenza raggiunga il 10% degli over 65. Attualmente i posti letti assistenziali tradizionali o comunitari coprono solo il 2% degli anziani e solo il 6% di essi ha accesso all'assistenza domiciliare, ma con un numero di ore annue molto basso e insufficiente (18 in media).

L'obiettivo è ambizioso, ma è probabile che le risorse finanziarie da sole non siano sufficienti per raggiungerlo. Ci sono due problemi difficili da risolvere in breve tempo:

Il primo è che le quattro grandi regioni del Nord (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto) hanno il 60% dei posti letto e, in relazione al numero di abitanti, queste regioni hanno 10 volte più posti letto delle quattro grandi regioni del Sud (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia). La spiegazione potrebbe risiedere anche nel fatto che al Sud gli anziani sono tradizionalmente tenuti in casa più a lungo. Anche così, la costruzione di nuove strutture richiede tempo e sarebbe impensabile adattare altri edifici

Inoltre il sistema italiano soffre già di un'enorme carenza di personale specializzato (mancano almeno 100.000 unità). La formazione dei professionisti richiede tempo e una rivoluzione nei criteri di accesso.

Tutto questo, senza tener conto che non esiste un piano organico di gestione strategica che deve necessariamente essere integrata e articolata. “Come confermano i dati del Censis, è innegabile che i nostri anziani rappresentino per le famiglie italiane un punto di riferimento economico e che la loro cura e assistenza graviti ancora in maniera cospicua su famigliari e parenti. Proprio in questo senso va la mission di Family Care, che da quasi 10 anni offre alle famiglie italiane la garanzia di affidarsi a personale altamente preparato e formato per la cura dei propri cari bisognosi di assistenza”, dichiara Rosario Rasizza, AD di Family Care

“Nel caso delle badanti, anche in un momento delicato come la pandemia, siamo riusciti a fare in modo che il 90% di loro completasse il ciclo vaccinale e proseguisse il percorso senza intoppi. Ci siamo battuti per questo, ma non è abbastanza: siamo consapevoli che manca ancora personale specializzato, strutture adeguate così come incentivi consoni, ma quanto è stato ottenuto finora ci sprona a essere ottimisti per il futuro, sperando sempre di avere il sostegno attivo delle istituzioni”, conclude.

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