Salute e benessere

Alzheimer ed Intelligenza Artificiale: lo studio del modello in grado di effettuare la diagnosi precoce della malattia

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17 Ottobre 2024

Il progresso della tecnologia, con il passare del tempo, ha permesso di raggiungere importanti traguardi, apportando numerose modifiche ai processi di ricerca e di scoperta delle più complesse malattie neurodegenerative che tendono a colpire principalmente la popolazione anziana: l’evoluzione della scienza, infatti, ha reso possibile il riscontro delle malattie neurologiche come Demenza senile o Alzheimer in tempi brevi e rapidi, permettendo il monitoraggio della patologia sin dalla sua comparsa e consentendo alla medicina di intervenire tempestivamente per limitare danni e conseguenze alla salute.

Grazie al lavoro di un gruppo di ricerca dell’Università di Chieti-Pescara in collaborazione con la Start-up romana “ASC27”, realtà innovativa che collabora con numerosi centri di ricerca, sarebbe ad oggi possibile identificare persino i “Converter”, ovvero tutti i soggetti a rischio demenza: l’utilizzo di un modello di Intelligenza Artificiale capace di predire con una correttezza variabile tra l’86 e il 98 % le persone destinate ad ammalarsi di demenza grave, ha permesso di effettuare una diagnosi precoce della malattia, riscontrando anche, attraverso l’approccio della machine learning, i marcatori metabolici presenti nel sangue. 

Secondo le ricerche svolte, il “Mild Cognitive impairment”, o deficit cognitivo lieve, tende infatti a manifestarsi inizialmente attraverso piccole dimenticanze, per poi svilupparsi nel 20 o 30 % dei casi in patologie più gravi quali Alzheimer o Demenza senile: lo studio, eseguito grazie all’analisi di una banca dati internazionali contenente informazioni su migliaia di pazienti affetti da malattie neurodegenerative, ha rilevato mediante la ricerca di marcatori metabolici i fattori in grado di effettuare la predizione della progressione, scoprendo una correlazione tra le alterazioni esterne al sistema nervoso e la malattia stessa. 

Come afferma il Coordinatore dello studio Stefano Sensi, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze, Imaging e Scienze Cliniche di Chieti, “si tratta di un dataset molto interessante perché per ogni individuo diagnosticato con Alzheimer o MCI è stata raccolta una grande quantità di dati anamnestici, tra cui dati di risonanza magnetica cerebrale, neuropsicologici, liquorali ed ematici. Il primo vantaggio evidente dell’Intelligenza Artificiale è quello di poter processare una mole di dati che un singolo essere umano non saprebbe gestire. Ma c’è un secondo aspetto ancora più importante: i modelli di machine learning sono privi di pregiudizi, sono a-teorici, e dunque sono in grado di guardare ai dati con occhi nuovi. Noi ricercatori abbiamo costrutti teorici molto forti sulle cause dell’Alzheimer, a partire dalla beta amiloide e della proteina tau; la macchina, non sapendo niente di questo background, fa delle freddissime correlazioni tra variabili”.

Mettendo al centro dell’attenzione la funzione degli acidi biliari, i ricercatori hanno condotto le fasi di ricerca nel tentativo di dimostrare quanto l’IA potrebbe costituire un’efficace arma di prevenzione: come spiega Nicola Grandis, CEO di ASC27, “in primo luogo abbiamo fatto la cosiddetta feature structure. Questo significa che il modello ha estratto, tra tutte quelle disponibili, le variabili secondo lui significative in grado di identificare i Converter; successivamente sono stati realizzati circa 1200 modelli di Intelligenza Artificiale che sono stati messi in competizione tra loro, per verificare la capacità di prevedere, su ogni singolo paziente, quale avrebbe in futuro sviluppato l’Alzheimer. Dopo la fase di validazione è stata eseguita una fase di testing: qui la capacità del modello di identificare correttamente il paziente destinato a progredire verso la demenza grave ha raggiunto un’accuratezza variabile tra l’86 e il 98,5% dei casi. Un risultato superiore a quello ottenuto da sperimentazioni analoghe”. L’approccio di machine learning ha inoltre evidenziato la correlazione dell’asse intestino-cervello, riscontrando un legame tra la progressione verso l’Alzheimer e le alterazioni che avvengono fuori dal sistema nervoso centrale: la scoperta di importanti variazioni metaboliche e del sistema gastrointestinale potrebbero interferire sul benessere del cervello, rivelando importanti informazioni mediche e scientifiche.

Amalia Bruni, Presidente della “Sindem”, Associazione Autonoma Aderente alla Società Italiana di Neurologia per le demenze, ha incoraggiato la ricerca effettuata, seppur evidenziandone alcune criticità, come la presenza di esami non alla portata di tutti e la troppa attenzione rivolta alla beta amiloide e alla proteina tau: il progetto, nonostante sia ancora ad una sua fase iniziale, necessita di essere sostenuto per le nuove prospettive diagnostiche, che se sperimentate e dimostrate, potrebbero condurre ad un punto di svolta per la cura all’Alzheimer.


Il progresso della tecnologia, con il passare del tempo, ha permesso di raggiungere importanti traguardi, apportando numerose modifiche ai processi di ricerca e di scoperta delle più complesse malattie neurodegenerative che tendono a colpire principalmente la popolazione anziana: l’evoluzione della scienza, infatti, ha reso possibile il riscontro delle malattie neurologiche come Demenza senile o Alzheimer in tempi brevi e rapidi, permettendo il monitoraggio della patologia sin dalla sua comparsa e consentendo alla medicina di intervenire tempestivamente per limitare danni e conseguenze alla salute.

Grazie al lavoro di un gruppo di ricerca dell’Università di Chieti-Pescara in collaborazione con la Start-up romana “ASC27”, realtà innovativa che collabora con numerosi centri di ricerca, sarebbe ad oggi possibile identificare persino i “Converter”, ovvero tutti i soggetti a rischio demenza: l’utilizzo di un modello di Intelligenza Artificiale capace di predire con una correttezza variabile tra l’86 e il 98 % le persone destinate ad ammalarsi di demenza grave, ha permesso di effettuare una diagnosi precoce della malattia, riscontrando anche, attraverso l’approccio della machine learning, i marcatori metabolici presenti nel sangue. 

Secondo le ricerche svolte, il “Mild Cognitive impairment”, o deficit cognitivo lieve, tende infatti a manifestarsi inizialmente attraverso piccole dimenticanze, per poi svilupparsi nel 20 o 30 % dei casi in patologie più gravi quali Alzheimer o Demenza senile: lo studio, eseguito grazie all’analisi di una banca dati internazionali contenente informazioni su migliaia di pazienti affetti da malattie neurodegenerative, ha rilevato mediante la ricerca di marcatori metabolici i fattori in grado di effettuare la predizione della progressione, scoprendo una correlazione tra le alterazioni esterne al sistema nervoso e la malattia stessa. 

Come afferma il Coordinatore dello studio Stefano Sensi, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze, Imaging e Scienze Cliniche di Chieti, “si tratta di un dataset molto interessante perché per ogni individuo diagnosticato con Alzheimer o MCI è stata raccolta una grande quantità di dati anamnestici, tra cui dati di risonanza magnetica cerebrale, neuropsicologici, liquorali ed ematici. Il primo vantaggio evidente dell’Intelligenza Artificiale è quello di poter processare una mole di dati che un singolo essere umano non saprebbe gestire. Ma c’è un secondo aspetto ancora più importante: i modelli di machine learning sono privi di pregiudizi, sono a-teorici, e dunque sono in grado di guardare ai dati con occhi nuovi. Noi ricercatori abbiamo costrutti teorici molto forti sulle cause dell’Alzheimer, a partire dalla beta amiloide e della proteina tau; la macchina, non sapendo niente di questo background, fa delle freddissime correlazioni tra variabili”.

Mettendo al centro dell’attenzione la funzione degli acidi biliari, i ricercatori hanno condotto le fasi di ricerca nel tentativo di dimostrare quanto l’IA potrebbe costituire un’efficace arma di prevenzione: come spiega Nicola Grandis, CEO di ASC27, “in primo luogo abbiamo fatto la cosiddetta feature structure. Questo significa che il modello ha estratto, tra tutte quelle disponibili, le variabili secondo lui significative in grado di identificare i Converter; successivamente sono stati realizzati circa 1200 modelli di Intelligenza Artificiale che sono stati messi in competizione tra loro, per verificare la capacità di prevedere, su ogni singolo paziente, quale avrebbe in futuro sviluppato l’Alzheimer. Dopo la fase di validazione è stata eseguita una fase di testing: qui la capacità del modello di identificare correttamente il paziente destinato a progredire verso la demenza grave ha raggiunto un’accuratezza variabile tra l’86 e il 98,5% dei casi. Un risultato superiore a quello ottenuto da sperimentazioni analoghe”. L’approccio di machine learning ha inoltre evidenziato la correlazione dell’asse intestino-cervello, riscontrando un legame tra la progressione verso l’Alzheimer e le alterazioni che avvengono fuori dal sistema nervoso centrale: la scoperta di importanti variazioni metaboliche e del sistema gastrointestinale potrebbero interferire sul benessere del cervello, rivelando importanti informazioni mediche e scientifiche.

Amalia Bruni, Presidente della “Sindem”, Associazione Autonoma Aderente alla Società Italiana di Neurologia per le demenze, ha incoraggiato la ricerca effettuata, seppur evidenziandone alcune criticità, come la presenza di esami non alla portata di tutti e la troppa attenzione rivolta alla beta amiloide e alla proteina tau: il progetto, nonostante sia ancora ad una sua fase iniziale, necessita di essere sostenuto per le nuove prospettive diagnostiche, che se sperimentate e dimostrate, potrebbero condurre ad un punto di svolta per la cura all’Alzheimer.