Salute e benessere

Demenza senile: per 2 persone su 3 è una conseguenza normale dell’invecchiamento

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17 Gennaio 2020

Come ogni anno, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer, che si celebra il 21 settembre, l’organizzazione internazionale ADI – Alzheimer’s Disease International, ha pubblicato il Rapporto Mondiale sulla malattia, diffuso nel nostro paese dalla Federazione Alzheimer Italia e intitolato per il 2019 “L’atteggiamento verso la demenza”. Il documento riporta i dati della più ampia indagine mai condotta riguardo alle convinzioni e agli atteggiamenti dell’opinione pubblica verso il morbo di Alzheimer e le altre forme di demenza senile.
L’indagine ha coinvolto 70.000 intervistati, tra cui persone con demenza, personale sanitario e caregiver, provenienti da 155 paesi del mondo. I dati sono stati poi analizzati dalla London School of Economics and Political Science (LSE) e hanno rivelato a livello globale una sorprendente mancanza di informazione sulla demenza, che desta non poche preoccupazioni. Basti pensare che per due terzi degli intervistati (anche tra coloro che fanno parte del personale sanitario), la demenza sarebbe una naturale conseguenza dell’invecchiamento.

Lo stigma sociale verso la demenza

Dal rapporto emerge che lo stigma sociale nei confronti della demenza senile è tale da impedire alle persone anche solo di richiedere le informazioni e l’assistenza medica, che permetterebbero loro di migliorare la qualità e la durata della propria vita. La demenza è infatti una delle cause di morte più diffuse a livello globale. Si conta un nuovo caso ogni 3 secondi nel mondo, e secondo le stime, nel 2050 il numero delle persone colpite potrebbe salire dagli attuali 50 milioni a oltre 150 milioni.
Il 48% dei partecipanti al sondaggio pensa che neppure attraverso un intervento medico la memoria delle persone malate possa migliorare, mentre un intervistato su quattro ritiene che non sia possibile fare nulla per prevenire la demenza. In molti casi, le demenze sono ricondotte a cause del tutto irrazionali, come la sfortuna (20% degli intervistati), la volontà di Dio (5%) o la stregoneria (2%). 
Ma non è tutto. Circa il 60% del campione ritiene infatti che sia giusto non coinvolgere le persone con demenza. “Si tratta di discriminazione - osserva Gabriella Savini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia - in contrasto con il considerarle prima di tutto come persone, con una loro individualità e un loro vissuto costruito lungo una vita intera, al di là dell’etichetta della diagnosi”.
Per quanto riguarda il punto di vista dei malati, circa il 50% delle persone con demenza ha dichiarato di sentirsi trascurato dal personale sanitario, mentre più di un terzo degli intervistati pensa che, se si ammalasse di demenza, non riceverebbe ascolto da parte del personale medico. 

Alzheimer e demenza senile: malattie che fanno paura

A fronte di una grave disinformazione sulla demenza, le sue cause, e le possibili forme di prevenzione, emergono però dei dati interessanti, che indicano come sia diffuso a livello mondiale il timore di ammalarsi. Oltre il 95% del campione ritiene infatti di poter sviluppare nel corso della sua vita una forma di demenza e più di due terzi degli intervistati (69,3%) si sottoporrebbero ad un test genetico per sapere se rischiano in futuro di sviluppare una qualche forma di demenza. Un altro dato positivo è che il 50% dei partecipanti pensa che si possa ridurre il rischio di sviluppare la demenza adottando un corretto stile di vita.

Informazione e dialogo per superare lo stigma

Il quadro che emerge dal Rapporto Mondiale 2019 mette in luce quanto ancora oggi sia drammatica la condizione dei malati e delle famiglie che se ne prendono cura, ma evidenzia anche come sia necessario attivare iniziative che coinvolgano tutta la popolazione, anche non direttamente toccata da questo tema. E’ perciò fondamentale una corretta informazione a livello globale, che possa evitare ogni forma di esclusione o discriminazione delle persone malate.
Anche le famiglie devono perciò trovare il necessario supporto da parte della società civile. La lotta contro il pregiudizio e lo stigma verso i malati di demenza può essere vinta soprattutto attraverso una rete efficiente di servizi territoriali, che collabori con le associazioni impegnate nelle attività di informazione e sostegno alle famiglie.

“Lo stigma – afferma Paola Barbarino, amministratore delegato di ADI - è il più grande limite alla possibilità delle persone di migliorare sensibilmente il loro modo di convivere con la demenza. A livello individuale, lo stigma può minare gli obiettivi esistenziali e ridurre la partecipazione ad attività sociali, peggiorando il benessere e la qualità della vita. A livello di società, lo stigma strutturale e la discriminazione possono influire sull’entità dei fondi da stanziare per la cura e l’assistenza. Auspichiamo che i risultati ottenuti da questa ricerca possano dare il via a una riforma e a un cambiamento globale positivo”

Come ogni anno, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer, che si celebra il 21 settembre, l’organizzazione internazionale ADI – Alzheimer’s Disease International, ha pubblicato il Rapporto Mondiale sulla malattia, diffuso nel nostro paese dalla Federazione Alzheimer Italia e intitolato per il 2019 “L’atteggiamento verso la demenza”. Il documento riporta i dati della più ampia indagine mai condotta riguardo alle convinzioni e agli atteggiamenti dell’opinione pubblica verso il morbo di Alzheimer e le altre forme di demenza senile.
L’indagine ha coinvolto 70.000 intervistati, tra cui persone con demenza, personale sanitario e caregiver, provenienti da 155 paesi del mondo. I dati sono stati poi analizzati dalla London School of Economics and Political Science (LSE) e hanno rivelato a livello globale una sorprendente mancanza di informazione sulla demenza, che desta non poche preoccupazioni. Basti pensare che per due terzi degli intervistati (anche tra coloro che fanno parte del personale sanitario), la demenza sarebbe una naturale conseguenza dell’invecchiamento.

Lo stigma sociale verso la demenza

Dal rapporto emerge che lo stigma sociale nei confronti della demenza senile è tale da impedire alle persone anche solo di richiedere le informazioni e l’assistenza medica, che permetterebbero loro di migliorare la qualità e la durata della propria vita. La demenza è infatti una delle cause di morte più diffuse a livello globale. Si conta un nuovo caso ogni 3 secondi nel mondo, e secondo le stime, nel 2050 il numero delle persone colpite potrebbe salire dagli attuali 50 milioni a oltre 150 milioni.
Il 48% dei partecipanti al sondaggio pensa che neppure attraverso un intervento medico la memoria delle persone malate possa migliorare, mentre un intervistato su quattro ritiene che non sia possibile fare nulla per prevenire la demenza. In molti casi, le demenze sono ricondotte a cause del tutto irrazionali, come la sfortuna (20% degli intervistati), la volontà di Dio (5%) o la stregoneria (2%). 
Ma non è tutto. Circa il 60% del campione ritiene infatti che sia giusto non coinvolgere le persone con demenza. “Si tratta di discriminazione - osserva Gabriella Savini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia - in contrasto con il considerarle prima di tutto come persone, con una loro individualità e un loro vissuto costruito lungo una vita intera, al di là dell’etichetta della diagnosi”.
Per quanto riguarda il punto di vista dei malati, circa il 50% delle persone con demenza ha dichiarato di sentirsi trascurato dal personale sanitario, mentre più di un terzo degli intervistati pensa che, se si ammalasse di demenza, non riceverebbe ascolto da parte del personale medico. 

Alzheimer e demenza senile: malattie che fanno paura

A fronte di una grave disinformazione sulla demenza, le sue cause, e le possibili forme di prevenzione, emergono però dei dati interessanti, che indicano come sia diffuso a livello mondiale il timore di ammalarsi. Oltre il 95% del campione ritiene infatti di poter sviluppare nel corso della sua vita una forma di demenza e più di due terzi degli intervistati (69,3%) si sottoporrebbero ad un test genetico per sapere se rischiano in futuro di sviluppare una qualche forma di demenza. Un altro dato positivo è che il 50% dei partecipanti pensa che si possa ridurre il rischio di sviluppare la demenza adottando un corretto stile di vita.

Informazione e dialogo per superare lo stigma

Il quadro che emerge dal Rapporto Mondiale 2019 mette in luce quanto ancora oggi sia drammatica la condizione dei malati e delle famiglie che se ne prendono cura, ma evidenzia anche come sia necessario attivare iniziative che coinvolgano tutta la popolazione, anche non direttamente toccata da questo tema. E’ perciò fondamentale una corretta informazione a livello globale, che possa evitare ogni forma di esclusione o discriminazione delle persone malate.
Anche le famiglie devono perciò trovare il necessario supporto da parte della società civile. La lotta contro il pregiudizio e lo stigma verso i malati di demenza può essere vinta soprattutto attraverso una rete efficiente di servizi territoriali, che collabori con le associazioni impegnate nelle attività di informazione e sostegno alle famiglie.

“Lo stigma – afferma Paola Barbarino, amministratore delegato di ADI - è il più grande limite alla possibilità delle persone di migliorare sensibilmente il loro modo di convivere con la demenza. A livello individuale, lo stigma può minare gli obiettivi esistenziali e ridurre la partecipazione ad attività sociali, peggiorando il benessere e la qualità della vita. A livello di società, lo stigma strutturale e la discriminazione possono influire sull’entità dei fondi da stanziare per la cura e l’assistenza. Auspichiamo che i risultati ottenuti da questa ricerca possano dare il via a una riforma e a un cambiamento globale positivo”

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