Salute e benessere

Studio italiano rivela possibile indicatore precoce del Parkinson nel sangue

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8 Febbraio 2024

Una nuova scoperta nel campo neurochimico ha messo in evidenza un possibile indicatore precoce del Parkinson nel cervello. Si tratta dell'aminoacido D-serina, il cui elevato livello nel sangue sembra correlato a un insorgere più tardivo della malattia rispetto a coloro che presentano basse concentrazioni di questa sostanza. Questo suggerisce un potenziale effetto neuroprotettivo del D-aminoacido contro lo sviluppo del Parkinson. 

Lo studio è stato condotto da un team di ricercatori italiani, composto da neuroscienziati, biochimici e neurologi del centro di ricerca Ceinge Biotecnologie Avanzate Franco Salvatore, dell’Università Luigi Vanvitelli, dell’Università di Pavia e dell’Ircss Mondino, e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista Neurobiology of Disease.

I ricercatori hanno anche osservato livelli più elevati di D-serina nelle pazienti di sesso femminile, mentre non hanno riscontrato differenze tra i maschi affetti e i relativi casi di controllo. Questa scoperta apre nuove possibilità per l'applicazione della cosiddetta "medicina di genere" nel trattamento del Parkinson

Questa patologia neurodegenerativa, cronica e progressiva colpisce diverse funzioni motorie, vegetative, comportamentali e cognitive, influenzando significativamente la qualità della vita dei pazienti. Il Parkinson è il disturbo del movimento più comune e si manifesta quando la produzione di dopamina nel cervello diminuisce costantemente a causa della degenerazione dei neuroni nell'area chiamata "sostanza nera". Si stima che più di 9 milioni di persone nel mondo siano affette da questa patologia.

Ulteriori studi sono in corso per comprendere le alterazioni nel metabolismo della D-serina e la loro possibile correlazione con lo stress ossidativo, anch'esso coinvolto nella patogenesi del Parkinson. "Si tratta di uno studio preliminare", commenta Alessandro Usiello, direttore del Laboratorio di Neuroscienze traslazionali del Ceinge e professore di Biochimica clinica dell’Università Vanvitelli, "che potremo approfondire su casistiche di pazienti più ampie". 

La ricerca è stata finanziata dalla Fondazione Cariplo e dal progetto Mnesys, finanziato dal Ministero dell'Università e della Ricerca, Piano nazionale di recupero e resilienza.


Una nuova scoperta nel campo neurochimico ha messo in evidenza un possibile indicatore precoce del Parkinson nel cervello. Si tratta dell'aminoacido D-serina, il cui elevato livello nel sangue sembra correlato a un insorgere più tardivo della malattia rispetto a coloro che presentano basse concentrazioni di questa sostanza. Questo suggerisce un potenziale effetto neuroprotettivo del D-aminoacido contro lo sviluppo del Parkinson. 

Lo studio è stato condotto da un team di ricercatori italiani, composto da neuroscienziati, biochimici e neurologi del centro di ricerca Ceinge Biotecnologie Avanzate Franco Salvatore, dell’Università Luigi Vanvitelli, dell’Università di Pavia e dell’Ircss Mondino, e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista Neurobiology of Disease.

I ricercatori hanno anche osservato livelli più elevati di D-serina nelle pazienti di sesso femminile, mentre non hanno riscontrato differenze tra i maschi affetti e i relativi casi di controllo. Questa scoperta apre nuove possibilità per l'applicazione della cosiddetta "medicina di genere" nel trattamento del Parkinson

Questa patologia neurodegenerativa, cronica e progressiva colpisce diverse funzioni motorie, vegetative, comportamentali e cognitive, influenzando significativamente la qualità della vita dei pazienti. Il Parkinson è il disturbo del movimento più comune e si manifesta quando la produzione di dopamina nel cervello diminuisce costantemente a causa della degenerazione dei neuroni nell'area chiamata "sostanza nera". Si stima che più di 9 milioni di persone nel mondo siano affette da questa patologia.

Ulteriori studi sono in corso per comprendere le alterazioni nel metabolismo della D-serina e la loro possibile correlazione con lo stress ossidativo, anch'esso coinvolto nella patogenesi del Parkinson. "Si tratta di uno studio preliminare", commenta Alessandro Usiello, direttore del Laboratorio di Neuroscienze traslazionali del Ceinge e professore di Biochimica clinica dell’Università Vanvitelli, "che potremo approfondire su casistiche di pazienti più ampie". 

La ricerca è stata finanziata dalla Fondazione Cariplo e dal progetto Mnesys, finanziato dal Ministero dell'Università e della Ricerca, Piano nazionale di recupero e resilienza.

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