Costume e Società

Il lutto anticipatorio e il fine vita

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7 Dicembre 2023

Nell’affrontare il lungo percorso di una malattia della persona cara che si assiste, in particolare se si tratta di una demenza, ci si potrebbe trovare a sperimentare che non necessariamente il lutto si manifesta al momento del decesso. Quante volte abbiamo sentito dire relativamente alle esperienze di amici caregiver o conoscenti affermazioni come “...negli ultimi tempi non lo riconoscevo più..”, oppure “...da quando è successo quell’incidente non è più stato la stessa persona…”: se ci pensiamo bene non ci sono molte differenze tra il lutto come lo intendiamo e l’affermazione “...non lo riconosco più…”. 

Certamente quella persona è ancora fisicamente presente, ma in termini pratici non lo è più e da qui nasce la difficoltà dei caregiver di prendersi cura di una persona che non riconoscono più, spesso aggravata dal fatto che neanche il nostro caro ci riconosce: quanta sofferenza quando il nostro caro affetto da demenza ci scambia con una badante, un'infermiera o una qualsiasi persona che incontrano nella loro quotidianità! Il sentimento di frustrazione è concreto, dietro l’angolo, in quanto alla nostra memoria la domanda che ci aspetta è: “...ma come, con tutto quello che faccio per lui/lei, con tutto quello che abbiamo passato, come è possibile che non mi riconosca???”. 

Quanto brevemente riportato è all’ordine del giorno per tanti caregiver che si trovano a dover recuperare energie morali esclusivamente all’interno della memoria, all’interno del proprio sentimento per quella persona che di giorno in giorno non ci riconosce più. Allora davvero il lutto si manifesta solo al momento del distacco fisico? No. Il lutto inizia al momento del distacco morale, anche se può essere graduale, dal momento in cui il sentimento che ci lega al nostro caro diventa unilaterale e non più condiviso come un tempo.

Nella mia esperienza, ho imparato che la parola LUTTO non è, quindi, solo associata alla perdita del proprio caro e mi sono sempre chiesta le ragioni per le quali non si associasse anche al momento in cui i nostri cari ricevono la diagnosi: si tratta di un tracollo morale improvviso! La domanda che mi sono posta tante volte nel mio viaggio personale da caregiver, oltre a verificarla spesso nelle persone che incontro nella mia attività, è relativa ai motivi di fondo per i quali non si pensa che esista il lutto quando la memoria e gli atteggiamenti del nostro caro diventano diversi

A peggiorare la situazione dei sentimenti di frustrazione precedentemente descritti, il caregiver osserva la vita di tutti andare avanti, nel bene e nel male, mentre lui lamenta viaggi annullati, svaghi annullati, corsi saltati perché esausti dalle fatiche derivanti dalle interminabili ore di assistenza ai propri cari, sentendosi così sempre più stanchi e isolati, entrati in un tunnel di fatica e solitudine di cui non si vede luce in fondo. Vogliamo parlare anche del sentimento di rabbia che può sorgere nel sentirsi abbandonati dalle istituzioni? Tutto ciò senza il sostegno morale del nostro caro che non ci riconosce più. Allora le risorse energetiche e morali cui attingere sono ancora di più da ricercare esclusivamente all’interno del nostro cuore sempre più stanco, nella nostra memoria a cui aggrapparsi come unico scoglio di salvezza.

Quello che occorre, quindi, dovrebbe essere una chiara e sincera modifica di immaginario societario di quello che dovrebbe essere il lutto. Da caregiver sarebbe, infatti, tanto più utile una vicinanza morale già a partire dalla diagnosi! Al momento della conclusione della vita del proprio caro un caregiver sarà esausto: a cosa serve un sostegno morale, una temporanea vicinanza e cordoglio in quel momento dove tutto il suo impegno è concluso e dove dovrà solo pensare a ricostruire la propria esistenza? Si, io mi sono sentita in lutto dalla diagnosi e anche ora con i caregiver che seguo ci tengo a capire come si sentono già a partire da quel momento: per questo è fondamentale che un caregiver sia affiancato con un sostegno e aiuto già a partire da quel momento per fargli percepire che non sarà solo per il futuro. 

Il problema dell’immagine collettiva del lutto si manifesta in modo tragico proprio quando si esplicita a famigliari e amici la diagnosi del nostro caro: nel momento del lutto come inteso dalla società, nessuno si sognerebbe di minimizzare il sentimento del dolore e della perdita, allora come mai nel momento della diagnosi la reazione comune è questa? Occorre, quindi come detto, una modifica del sentimento comune di lutto, una sensibilità rinnovata, una attenzione più delicata e vicina: il minimizzare non fa che aumentare il sentimento di solitudine, rabbia e abbandono provata dal caregiver in quel momento. 

Allora è importante che si parli del lutto anticipatorio, è importante non vergognarsi del proprio stato di dolore, di dire che ci si sente abbandonati dal proprio caro, magari spaventati o sopraffatti dallo scoraggiamento: è tutto normale, è tutto nella natura emotiva del nostro cuore. Nominare gli eventi con i termini corretti aiuta ad affrontarli, quindi non abbiamo paura di chiamare lutto quello che è un momento di profonda modifica e perdita morale, anche se questa è graduale nel tempo, i sentimenti sono esattamente gli stessi generati dalla perdita fisica, dal distacco vero e proprio. Non abbiate paura del lutto. Non abbiate timore del fine vita.



Dottoressa Chantal Cerise
La Casa del Caregiver
@lacasadelcaregiver


Nell’affrontare il lungo percorso di una malattia della persona cara che si assiste, in particolare se si tratta di una demenza, ci si potrebbe trovare a sperimentare che non necessariamente il lutto si manifesta al momento del decesso. Quante volte abbiamo sentito dire relativamente alle esperienze di amici caregiver o conoscenti affermazioni come “...negli ultimi tempi non lo riconoscevo più..”, oppure “...da quando è successo quell’incidente non è più stato la stessa persona…”: se ci pensiamo bene non ci sono molte differenze tra il lutto come lo intendiamo e l’affermazione “...non lo riconosco più…”. 

Certamente quella persona è ancora fisicamente presente, ma in termini pratici non lo è più e da qui nasce la difficoltà dei caregiver di prendersi cura di una persona che non riconoscono più, spesso aggravata dal fatto che neanche il nostro caro ci riconosce: quanta sofferenza quando il nostro caro affetto da demenza ci scambia con una badante, un'infermiera o una qualsiasi persona che incontrano nella loro quotidianità! Il sentimento di frustrazione è concreto, dietro l’angolo, in quanto alla nostra memoria la domanda che ci aspetta è: “...ma come, con tutto quello che faccio per lui/lei, con tutto quello che abbiamo passato, come è possibile che non mi riconosca???”. 

Quanto brevemente riportato è all’ordine del giorno per tanti caregiver che si trovano a dover recuperare energie morali esclusivamente all’interno della memoria, all’interno del proprio sentimento per quella persona che di giorno in giorno non ci riconosce più. Allora davvero il lutto si manifesta solo al momento del distacco fisico? No. Il lutto inizia al momento del distacco morale, anche se può essere graduale, dal momento in cui il sentimento che ci lega al nostro caro diventa unilaterale e non più condiviso come un tempo.

Nella mia esperienza, ho imparato che la parola LUTTO non è, quindi, solo associata alla perdita del proprio caro e mi sono sempre chiesta le ragioni per le quali non si associasse anche al momento in cui i nostri cari ricevono la diagnosi: si tratta di un tracollo morale improvviso! La domanda che mi sono posta tante volte nel mio viaggio personale da caregiver, oltre a verificarla spesso nelle persone che incontro nella mia attività, è relativa ai motivi di fondo per i quali non si pensa che esista il lutto quando la memoria e gli atteggiamenti del nostro caro diventano diversi

A peggiorare la situazione dei sentimenti di frustrazione precedentemente descritti, il caregiver osserva la vita di tutti andare avanti, nel bene e nel male, mentre lui lamenta viaggi annullati, svaghi annullati, corsi saltati perché esausti dalle fatiche derivanti dalle interminabili ore di assistenza ai propri cari, sentendosi così sempre più stanchi e isolati, entrati in un tunnel di fatica e solitudine di cui non si vede luce in fondo. Vogliamo parlare anche del sentimento di rabbia che può sorgere nel sentirsi abbandonati dalle istituzioni? Tutto ciò senza il sostegno morale del nostro caro che non ci riconosce più. Allora le risorse energetiche e morali cui attingere sono ancora di più da ricercare esclusivamente all’interno del nostro cuore sempre più stanco, nella nostra memoria a cui aggrapparsi come unico scoglio di salvezza.

Quello che occorre, quindi, dovrebbe essere una chiara e sincera modifica di immaginario societario di quello che dovrebbe essere il lutto. Da caregiver sarebbe, infatti, tanto più utile una vicinanza morale già a partire dalla diagnosi! Al momento della conclusione della vita del proprio caro un caregiver sarà esausto: a cosa serve un sostegno morale, una temporanea vicinanza e cordoglio in quel momento dove tutto il suo impegno è concluso e dove dovrà solo pensare a ricostruire la propria esistenza? Si, io mi sono sentita in lutto dalla diagnosi e anche ora con i caregiver che seguo ci tengo a capire come si sentono già a partire da quel momento: per questo è fondamentale che un caregiver sia affiancato con un sostegno e aiuto già a partire da quel momento per fargli percepire che non sarà solo per il futuro. 

Il problema dell’immagine collettiva del lutto si manifesta in modo tragico proprio quando si esplicita a famigliari e amici la diagnosi del nostro caro: nel momento del lutto come inteso dalla società, nessuno si sognerebbe di minimizzare il sentimento del dolore e della perdita, allora come mai nel momento della diagnosi la reazione comune è questa? Occorre, quindi come detto, una modifica del sentimento comune di lutto, una sensibilità rinnovata, una attenzione più delicata e vicina: il minimizzare non fa che aumentare il sentimento di solitudine, rabbia e abbandono provata dal caregiver in quel momento. 

Allora è importante che si parli del lutto anticipatorio, è importante non vergognarsi del proprio stato di dolore, di dire che ci si sente abbandonati dal proprio caro, magari spaventati o sopraffatti dallo scoraggiamento: è tutto normale, è tutto nella natura emotiva del nostro cuore. Nominare gli eventi con i termini corretti aiuta ad affrontarli, quindi non abbiamo paura di chiamare lutto quello che è un momento di profonda modifica e perdita morale, anche se questa è graduale nel tempo, i sentimenti sono esattamente gli stessi generati dalla perdita fisica, dal distacco vero e proprio. Non abbiate paura del lutto. Non abbiate timore del fine vita.



Dottoressa Chantal Cerise
La Casa del Caregiver
@lacasadelcaregiver

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